23.7.07

Sogno di una notte di mezza estate

Non respingere i sogni perché sono sogni.
Tutti i sogni possono
essere realtà, se il sogno non finisce.
La realtà è un sogno. Se sogniamo
che la pietra è pietra, questo è la pietra.
Ciò che scorre nei fiumi non è acqua,
è un sognare, l’acqua, cristallina.
La realtà traveste
il sogno, e dice:
“Io sono il sole, i cieli, l’amore”.
Ma mai si dilegua, mai passa,
se fingiamo di credere che è più che un sogno.
E viviamo sognandola. Sognare
è il mezzo che l’anima ha
perché non le fugga mai
ciò che fuggirebbe se smettessimo
di sognare che è realtà ciò che non esiste.
Muore solo
un amore che ha smesso di essere sognato
fatto materia e che si cerca sulla terra.

(da Non respingere i sogni perché sono sogni – P.Salinas)
La puntina fa partire uno swing anni 30, ritmato e sfacciatamente riflessivo.
La birra sul tavolo ti fa sentire sbronzo anche se non ricordi d’averla bevuta.
L’aria è satura d’una solitudine cameratesca, che in fondo ti piace. La respiri a pieni polmoni.
E’ troppo tempo che te ne stai lì seduto e decidi di alzare il tuo corpo appesantito.
Vaghi sicuro tra le vie di quel monolocale, così sconosciuto ma così dannatamente familiare.
Già stanco di quei colori chiusi, apri una vecchia finestra.
Sei in alto, molto più di quanto immaginassi e il riflesso di un nuovo giorno ti impedisce di metterne a fuoco i particolari. Le pupille ruotano velocemente, distratte dall’odore di buon cibo che filtra attraverso il palazzo.
Finalmente scorgi la strada, ma sei troppo lontano per capire dove porta. E’ piena di piccoli insetti che ronzano uniti, comunicando in una lingua semisconosciuta.
La lucida follia che si è impossessata del cuore della tua mente ti suggerisce cosa fare.
E’ strano che la musica finisca con un coro gospel.
Apri gli occhi, stordito al punto giusto e te ne vai a dormire.

4.7.07

Divieto di sosta felini

Non tutti capiranno questa storia, e non tutti ci crederanno essendo inconsapevoli dell’identità del protagonista. Ma la vita riserva delle sorprese e a volte ti fa piangere e divertire, nello stesso momento, e sono proprio questi due sentimenti così lontani ma così vicini che andremo a narrare.
Un dipendente comunale, per fortuna non noto ai più, che chiameremo con lo pseudonimo di Molinari, con la consueta professionalità si stava accingendo a sbrigare commissioni più o meno importanti nell’hinterland mantovano.
La cittadinanza pagava volentieri la benzina della Punto contrassegnata dal logo del comune ben consapevole che quell’uomo avrebbe fatto sempre in modo ineccepibile il proprio lavoro.
Era quasi mezzogiorno e il Molinari cominciava a sentire allo stomaco i tipici brontolii di quell’ora.
“Perché non fare una piccola deviazione nella vicina Mantova e andare a pranzare con l’amico Domenico?” pensò tra sé.
E proprio questo fece.
Arrivato all’ufficio del compare, un po’ stanco per le gravose commissioni fatte al servizio della cittadinanza, decise di posteggiare l’auto nella piazzetta adiacente l’ufficio del Domenico.
Doveva sempre avere sott’occhio quel mezzo che per lui era più di una semplice auto di servizio: era una responsabilità che si era assunto coi cittadini.
“Andiamo con la tua a pranzo?” chiese Domenico.
“Sei matto?Mica è mia questa macchina e non mi pagano per portarti a mangiare!L’auto resta qui al sicuro!!!” ammonì in tono responsabile il lavoratore-modello.
Ma purtroppo ciò che dai per scontato è proprio quello per cui dovresti prestare maggiore attenzione.
Intorno le 2, la coppia tornò pronta per riprendere le rispettive mansioni ma una cosa balzò subito agli occhi del sempre attento Molinari: la piazzetta dove aveva lasciato il suo mezzo non era più la stessa. Non c’erano più altre auto parcheggiate, ma banconi di vestiti che oltre tutto non gli piacevano affatto e non c’erano più persone indaffarate ma casalinghe desiderose di frutta e verdura da preparare per cena.
Non c’era più la Punto col logo del comune, ma allucinazioni che gli facevano vedere carro-attrezzi in funzione ovunque.
“Ma caaaaazzo!Deve esserci una spiegazione!Sicuramente con cortesia avranno parcheggiato la macchina qui vicino” pensò tra sé l’acuto Molinari.
“Andiamo a chiedere a quel gentile vigile!”
All’udire della richiesta, il rappresentante della legge però iniziò inspiegabilmente a ridere, ridere, ridere rifiutandosi fino all’ultimo di dichiarare la destinazione dell’auto fino a che, pressato anche dal Domenico, confessò che il mezzo era stato visto in compagnia d’un carro attrezzi.
Il Molinari avrebbe voluto vivere in un’altra vita, la felicità di cui il suo corpo era piena veniva improvvisamente scossa da un lampo di disperazione e gli passavano davanti agli occhi le paternali degli impiegati comunali, le risa degli anziani signori della casa di cura e gli amici stronzi che non l’avrebbero capito.
Il Mondo tentava di cadergli addosso, ma lui, tenace, lo stava tenendo con il consueto self-control che l’aveva sempre contraddistinto.
In questi casi aggrapparsi alla famiglia è quello che si deve fare.
“Chiamerò mio fratello e lui mi darà una mano” pensò nuovamente.
Ma al telefono una voce distaccata lo raggelò: “Ho da fare. Veditela tu” sentenziò il familiare.
Si sedette, sconsolato, cercando, come solo lui sapeva fare, di prendere il lato positivo di tutta questa infame storia: probabilmente, aveva così saldato il conto con la sfiga per un bel po’ di tempo.
“Pazienza, il mio debito con la sfortuna è saldato. Non vorrai mica che domani un gatto mi attraversi la strada e mi sfasci la macchina!?!”
E rideva, rideva, rideva.